SASSI NELLA TESTA – Tblisi, 31 maggio – 1 giugno
Oggi mi sposto: da Tbilisi a Batumi. Il viaggio è tranquillo, tempo un po’ freddo, nuvoloso. A partire dai monti Caucasici, comincia a scendere la pioggia, in altura, con le nuvole basse. È la volta della classica azione dei motociclisti: fermarsi e indossare la tuta antipioggia, naturalmente al riparo sotto un ponte. Appena ripartito, mi accorgo di stare molto meglio: la tutta blocca tutte le infiltrazioni di aria e sto più caldo. A questo punto il pensiero prende le sue strade. Mi passa per la testa quando sono entrato in Georgia: con gli occhi ho cercato subito la baracca con la scritta SIM – fortunatamente trovata subito – e acquistato la SIM. Ho anche chiesto per l’assicurazione della moto, ma nessuno ne sapeva niente. Ho pensato che era strano, ma ho continuato a guidare sino a Tbilisi. Una volta arrivato ho contattato un vecchio conoscente per informarmi in proposito; mi aveva raccontato che in Georgia non vige l’obbligo dell’assicurazione sui veicoli. Sorpreso, insisto per sapere se questo vale anche per le targhe straniere. La mia domanda non trova risposta fino a che ieri pomeriggio, ancora a Tblisi, entro in una stazione di polizia a domandare perché non voglio sorprese. Mi dicono che loro non sono preposti a controllare l’assicurazione, ma solo patente e libretto del mezzo, e mi confermano che l’assicurazione è volontaria. L’impiegato fa qualche telefonata poi mi dice che le targhe straniere hanno lo stesso trattamento: l’assicurazione non è obbligatoria. Se me lo dice un poliziotto, ci credo. Sono immerso in questi pensieri mentre guido verso Batumi, una città a 30 chilometri dal confine con la Turchia: lì la mia assicurazione italiana tornerà a essere valida. Batumi è una bella località, tutta in costruzione, e si affaccia sul Mar Nero. Ha una spiaggia particolare, in sassi, di grandezza quasi uguale tra loro, ma di diverso colore. Mi sono fermato a osservarne quasi un metro quadrato e il pensiero è stato spontaneo e immediato: sembrano tutti uguali, eppure sono così diversi. Diversi nei colori, nelle sfumature e nelle grafiche; osservando meglio, si può quasi attribuire un’identità a ciascuno di essi. E mentre sono lì, perso nei miei pensieri, anche l’orecchio mi aiuta a isolarmi: il cervello si concentra sul rumore, inusuale per me, per cui a ogni onda che si ritira nel mare, sembra sentire i sassi parlottare tra loro. Rimango qui per un po’ di tempo, assorto in questa magica atmosfera. Più in là vedo un piccolo spiazzo con dei sassi piatti. E allora voglio tentare la sorte: dopo circa sei o sette tentativi, riesco anche io a fare una colonna di sassi, composta da otto sassi! Non è per niente facile e ci si rende conto quanto sia delicato l’equilibrio. Guardo il mare e decido di seguire la “spiaggia” verso nord per istinto, senza un motivo particolare. Mentre cammino, ci sono questi sassi sotto i miei piedi e un po’ mi richiamano un paragone. È come essere in una sala da ballo dell’Ottocento a Vienna: c’è tantissima gente e tutti si muovono allo stesso modo, con una musica uguale, Valzer o Minuetto; solo aguzzando la vista ci si accorge che singolarmente sono diversi: diversi i vestiti, diversi gli accessori etc. Penso che forse ho smesso di osservare a fondo e mi accontento di uno sguardo superficiale. Bisogna tornare indietro: lo sguardo superficiale mi fa perdere troppe cose. In quello sento un ululare di motori a reazione. Alzo la testa e sopra di me vedo un aereo passeggeri in atterraggio: all’inizio della spiaggia inizia proprio la pista dell’aeroporto. Chissà perché questa spiaggia mi ha portato al ricordo del mondo del lavoro e al paragone dei sassi. In aereo ci giravo per motivi di lavoro, lo ho fatto per mezzo mondo, e forse avevo proprio i sassi in testa. Ora mi rendo conto di quante cose mi sono perso, piccole cose che ti insegnano cos’è il mondo. E con questi pensieri torno indietro; non so quanta strada ho fatto, però devo essermi un po’ allontanato vista la quantità di atterraggi osservata. Arrivo alla torre di sassi piatti che avevo fatto prima e, mentre la osservo, un colpo di vento la fa crollare. Basta un colpo di vento, un’azione esterna, e la situazione cambia all’improvviso. E penso a mia moglie. Rientro all’ostello, faccio su le mie cose, carico la moto, controllo tutti gli attacchi e la pressione delle gomme e via si parte verso la frontiera. Non c’è molta gente, ho solo cinque mezzi in coda prima di me. Tocca a me: presento i documenti, tutto ok. Mi chiedono l’assicurazione e mostro la carta verde, della mia assicurazione. Mi dicono che non è valida: avrei dovuto stipulare un’assicurazione privata in Georgia per il tempo che mi sarei fermato con durata minima di cinque giorni. Ci rimango male: avevo chiesto e nessuno mi aveva dato risposte esaustive. La moto finisce in un garage, l’impiegato mi accompagna in ufficio dove trascorro la notte, praticamente in arresto. Alla mattina arriva un superiore, pieno di mostrine e medaglie, quasi dovesse partecipare a una parata. Mi comminano una multa di 50 euro e un bel cazziatone e poi mi lasciano andare. Neanche il caffè mi hanno offerto.
SASSI NELLA TESTA – Tblisi, 31 maggio – 1 giugno Leggi l'articolo »