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SASSI NELLA TESTA – Tblisi, 31 maggio – 1 giugno

Oggi mi sposto: da Tbilisi a Batumi. Il viaggio è tranquillo, tempo un po’ freddo, nuvoloso. A partire dai monti Caucasici, comincia a scendere la pioggia, in altura, con le nuvole basse. È la volta della classica azione dei motociclisti: fermarsi e indossare la tuta antipioggia, naturalmente al riparo sotto un ponte. Appena ripartito, mi accorgo di stare molto meglio: la tutta blocca tutte le infiltrazioni di aria e sto più caldo. A questo punto il pensiero prende le sue strade. Mi passa per la testa quando sono entrato in Georgia: con gli occhi ho cercato subito la baracca con la scritta SIM – fortunatamente trovata subito – e acquistato la SIM. Ho anche chiesto per l’assicurazione della moto, ma nessuno ne sapeva niente. Ho pensato che era strano, ma ho continuato a guidare sino a Tbilisi. Una volta arrivato ho contattato un vecchio conoscente per informarmi in proposito; mi aveva raccontato che in Georgia non vige l’obbligo dell’assicurazione sui veicoli. Sorpreso, insisto per sapere se questo vale anche per le targhe straniere. La mia domanda non trova risposta fino a che ieri pomeriggio, ancora a Tblisi, entro in una stazione di polizia a domandare perché non voglio sorprese. Mi dicono che loro non sono preposti a controllare l’assicurazione, ma solo patente e libretto del mezzo, e mi confermano che l’assicurazione è volontaria. L’impiegato fa qualche telefonata poi mi dice che le targhe straniere hanno lo stesso trattamento: l’assicurazione non è obbligatoria. Se me lo dice un poliziotto, ci credo. Sono immerso in questi pensieri mentre guido verso Batumi, una città a 30 chilometri dal confine con la Turchia: lì la mia assicurazione italiana tornerà a essere valida. Batumi è una bella località, tutta in costruzione, e si affaccia sul Mar Nero. Ha una spiaggia particolare, in sassi, di grandezza quasi uguale tra loro, ma di diverso colore. Mi sono fermato a osservarne quasi un metro quadrato e il pensiero è stato spontaneo e immediato: sembrano tutti uguali, eppure sono così diversi. Diversi nei colori, nelle sfumature e nelle grafiche; osservando meglio, si può quasi attribuire un’identità a ciascuno di essi. E mentre sono lì, perso nei miei pensieri, anche l’orecchio mi aiuta a isolarmi: il cervello si concentra sul rumore, inusuale per me, per cui a ogni onda che si ritira nel mare, sembra sentire i sassi parlottare tra loro. Rimango qui per un po’ di tempo, assorto in questa magica atmosfera. Più in là vedo un piccolo spiazzo con dei sassi piatti. E allora voglio tentare la sorte: dopo circa sei o sette tentativi, riesco anche io a fare una colonna di sassi, composta da otto sassi! Non è per niente facile e ci si rende conto quanto sia delicato l’equilibrio. Guardo il mare e decido di seguire la “spiaggia” verso nord per istinto, senza un motivo particolare. Mentre cammino, ci sono questi sassi sotto i miei piedi e un po’ mi richiamano un paragone. È come essere in una sala da ballo dell’Ottocento a Vienna: c’è tantissima gente e tutti si muovono allo stesso modo, con una musica uguale, Valzer o Minuetto; solo aguzzando la vista ci si accorge che singolarmente sono diversi: diversi i vestiti, diversi gli accessori etc. Penso che forse ho smesso di osservare a fondo e mi accontento di uno sguardo superficiale. Bisogna tornare indietro: lo sguardo superficiale mi fa perdere troppe cose. In quello sento un ululare di motori a reazione. Alzo la testa e sopra di me vedo un aereo passeggeri in atterraggio: all’inizio della spiaggia inizia proprio la pista dell’aeroporto. Chissà perché questa spiaggia mi ha portato al ricordo del mondo del lavoro e al paragone dei sassi. In aereo ci giravo per motivi di lavoro, lo ho fatto per mezzo mondo, e forse avevo proprio i sassi in testa. Ora mi rendo conto di quante cose mi sono perso, piccole cose che ti insegnano cos’è il mondo. E con questi pensieri torno indietro; non so quanta strada ho fatto, però devo essermi un po’ allontanato vista la quantità di atterraggi osservata. Arrivo alla torre di sassi piatti che avevo fatto prima e, mentre la osservo, un colpo di vento la fa crollare. Basta un colpo di vento, un’azione esterna, e la situazione cambia all’improvviso. E penso a mia moglie. Rientro all’ostello, faccio su le mie cose, carico la moto, controllo tutti gli attacchi e la pressione delle gomme e via si parte verso la frontiera. Non c’è molta gente, ho solo cinque mezzi in coda prima di me. Tocca a me: presento i documenti, tutto ok. Mi chiedono l’assicurazione e mostro la carta verde, della mia assicurazione. Mi dicono che non è valida: avrei dovuto stipulare un’assicurazione privata in Georgia per il tempo che mi sarei fermato con durata minima di cinque giorni. Ci rimango male: avevo chiesto e nessuno mi aveva dato risposte esaustive. La moto finisce in un garage, l’impiegato mi accompagna in ufficio dove trascorro la notte, praticamente in arresto. Alla mattina arriva un superiore, pieno di mostrine e medaglie, quasi dovesse partecipare a una parata. Mi comminano una multa di 50 euro e un bel cazziatone e poi mi lasciano andare. Neanche il caffè mi hanno offerto.

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UNA GATTA PER COMPAGNA – Tblisi, 31 maggio – 1 giugno

Qui a Tblisi realizzo che ho bisogno di riposo, sento di averne bisogno dopo aver percorso più di 6000 chilometri. Così mi dedico alla pulizia personale, continuo a scrivere e a sistemare le mie cose. Mi telefona un caro amico che vorrebbe venirmi a prendere qui in hotel per trascorrere del tempo assieme, è dal 2008 che non ci vediamo. Mi scuso, ma rimandiamo al giorno successivo. Sono troppo stanco. Nell’hotel dove pernotto mi stupisce che i gatti girino liberamente; in particolare ce n’è una con cui ho legato fin dalla prima sera. Ho convinto lo chef a darmi un pezzettino di carne per darle da mangiare perché la vedevo un po’ sbattuta e poi sono andato a prendere delle crocchette. Questa mattina giocavo con la gatta prima di fare colazione; si avvicina un signore e si presenta come il direttore. Mi chiede se i gatti mi danno fastidio. Io rispondo di no. Mi spiega che l’hotel è di nuova costruzione e per avere tutte le licenze ha dovuto rispettare una colonia felina che viveva lì da anni. Così i gatti fanno quasi parte del personale. Il gatto è l’animale più antico in simbiosi con gli umani, gli egizi lo veneravano. Qui vengono mantenuti e fanno parte della famiglia; anche la cucina è parzialmente al loro servizio, se così si può dire. La sera esco a fare un piccolo giro per vedere il caravanserraglio della Via della Seta, ovvero luoghi dove si accoglieva e dava rifugio i mercanti durante i loro viaggi. Poi via a letto.

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PASSAGGIO IN GEORGIA- Tblisi, 28 maggio

Mi alzo alla buon’ora, alle 5.30, visto che oggi devo superare la frontiera tra Russia e Georgia; sono ancora memore di Terespol e delle quattro ore e mezzo trascorse per passare dalla Bielorussia alla Russia. In questo caso però si aggiunge un’altra incognita, quella che Wass, tra le montagne, è l’unico passaggio funzionante tra Russia e Georgia; gli altri sono chiusi. Colazione al distributore, ringraziamenti e via che si va. Naturalmente navigazione a carta e compasso. Dopo circa 50 chilometri inizia la segnaletica della frontiera e la strada peggiora; alla segnalazione dei 25 chilometri al confine di stato, trovo la coda dei camion: mi metto in sorpasso e vado avanti adagio. Arrivo ai controlli; il posto si chiama Lars nel comune di Kazbegi/Stepantsminda, sono a 1740 metri sul livello del mare, e si sentono tutti con forti raffiche di vento. In pratica sono catene montuose del Caucaso; la discesa in Georgia è caratterizzata da una strada militare, e tale e rimasta; è l’asse che collega il traffico pesante dell’Armenia con la Russia. Le cime attorno sono innevate la temperatura percepita intorno ai 2-3 gradi. Il controllo da parte russa è abbastanza celere, mentre un po’ mi fa soffrire la Georgia, ma alla fine è tutto a posto e posso andare. Prima tappa 200 metri dopo, per acquistare una SIM georgiana. La inserisco nel cellulare e come per incanto c’è di nuovo tutto: tornano internet e il navigatore, che imposto subito. Inizio la discesa, piano; si sono camion che invadono la corsia, e infatti dopo qualche chilometro succede. A un bilico scivola il posteriore verso la mia parte: la strada è bagnata, c’è il fango di un cantiere vicino. Il camion si bloccam ma le ruote posteriori del rimorchio continuano a scivolare. Non ho molta scelta, cerco di fare spazio e parte anche la mia moto di lato. Per farla breve, sono finito nel fiume accanto alla strada e il rimorchio si è fermato. Non c’è molta acqua, forse 40-50 centimetri, ma sufficiente per farmi bagnare, prendere freddo e incazzarmi. Dai camion non scende nessuno. Mi tiro fuori in qualche modo e vado al cantiere. Prontamente bloccano tutto il traffico e con la ruspa tirano fuori la moto dall’acqua. Dopo aver spostato la moto, mi offrono il caffè e riparto. Sono parecchio bagnato, ma resisto sino a Tblisi, dove consegno gli abiti a una lavanderia e mi butto sotto una doccia calda. La mattina dopo, prima di fare colazione, controllo i danni e fortunatamente è tutto ok. Non vedo l’ora di cominciare a lavorare con WeTransfer! Ho tutti i dati, i racconti, le foto e i filmati da mandare in Italia. Oggi e domani si lavora!

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DA MINERAL’NYE VODY A VLADIKAVKAZ – 27 maggio

Quarta tappa da Mineralnye Vlody a Vladikavkaz, ultima tappa interamente in Russia. Una tappa tranquilla, effettivamente ci sono i soliti curiosi ai distributori e quelli che chiedono di fare le foto; qualche caffè e il panorama che ora si innalza, i monti aumentano. Arrivo a Vladikavkaz nell’ora di punta, non trovo l’ostello e mi fermo ad un distributore che ha un’area piuttosto ampia. Mi tolgo guanti, casco e giacca e entro per un caffè, ne ho bisogno. Naturalmente la moto attira l’attenzione, e come entro, mi assale un uomo, parlando in inglese. Solite domande, foto di rito e il caffè e pronto. Approfitto e chiedo se conosce un ostello vicino, gli faccio vedere l’indirizzo e si mette le mani nei capelli, con una certa teatralità. Ecco una caratteristica che ci accomuna: qui in Russia, come in Italia, scendendo verso sud, nella parlata aumenta l’importanza della gesticolazione con le mani. Mi faccio una risata dentro di me e penso “la prossima tappa mi porta in Georgia; se il trend continua, e la volta che imparo un’altra lingua!” Mi dice che è impossibile a quest’ora raggiungere l’ostello per via del traffico. Però mi dice anche che c’è ne uno dall’altra parte della strada. Andiamo a vederlo; è pulito. Andata: dormo lì. Questo ostello ha anche un bel giardino con le panchine. Dopo aver sbrigato le solite cose – scaricare i bagagli, sistemarmi in camera, cambiarmi d’abito, cercare la conferma che effettivamente il segnale internet non c’era e il GPS lo davano per disperso anche i locali – vado a fare un po di chillout su una panchina. Mi si avvicina una prosperosa ragazza, chiedendomi se può fare alcuni selfie con la moto. Le dico di sì, non c’è problema. L’aiuto, sale in sella e comincia; sembra una mitraglia. Mi dice che è dell’Ossezia. Come ogni uomo, lo sguardo mi cade un po’ dappertutto e giungo alla conclusione che, al momento della sua sepoltura, che le auguro più lontana che mai, con tutta la plastica che ha addosso, non basterebbe un bidone della differenziata, ma ne servirebbero minimo 2. Rido dentro di me, lei finisce di farsi le foto e se ne va. Ceno e mi ritiro.

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DA VOLGOGRAD A MINERAL’NYE VODY – 26 maggio

Preparo la moto per la tappa Volgograd – Mineral’nye Vody. Ma c’è qualcosa che devo fare in città, prima di partire: mi è stato chiesto di informarmi su un militare che avrebbe dovuto essere sepolto lì. Dunque mi rivolgo alle autorità, le quali, anche solo prima di fare il nome e dare la matricola, mi bloccano: serve un appuntamento per accedere agli archivi e un supporto che faccia da tramite, come per esempio il nostro Ministero della Difesa, oppure, la Croce Rossa che è stata delegata a queste operazioni di ricerca. Naturalmente ci sono anche delle tasse da pagare. Mi son detto “Bene, qui almeno la perestrojka è arrivata, con tutti i suoi cavilli!” Per il morto forse è meglio, dopo tutti questi anni, che rimanga a riposare con i suoi compagni. Non ho perso troppo tempo e alle 11.00 sono di nuovo sulla mia strada. Anche in questa tappa è tutto calmo, non ho deviazioni da fare, ma devo stare più attento: il navigatore praticamente è un peso morto al seguito, non lavora.In queste condizioni sono richiesti più stop per fare il punto con cartina e compasso. Ormai ci ho preso la mano. In Svizzera a scuola si imparava alle elementari e si facevano le gare tra classi; era la preparazione alla difesa civile e i navigatori non esistevano. Oggi ne sono grato perchè posso sostituire il navigatore ogni momento e non rimango fermo. Intanto il panorama cambia, comincia a diventare collinoso e si alza qualche vetta modesta, qua e là.Arrivo a Mineral’nye Vody, una bella cittadina, mi dicono famosa in tutta la Russia per una sorgente di acqua minerale. La cittadina è carina e pulita, il bianco imperversa, se confrontata con le precedenti in una scala infinita di grigi. Ma non posso dimenticarmi dove sono e allora anche qui trovo carri armati e cannoni dismessi su piedistalli in cemento, a sottolineare i combattimenti della libertà, o giù di lì. Faccio quattro passi e mi accorgo che il sole picchia; infatti mi sono spostato verso sud, si potrebbe dire di una buona lunghezza come l’Italia.Ceno e mi fermo un pò a chiacchiera con una signora spagnola, arrivata qui per caso e fermatasi perché le piace la cittadina. Non resisto molto, sento il letto che mi chiama.

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DA VORONEŽ A VOLGOGRAD– 25 maggio

Seconda tappa verso la Georgia, da Voronež a Volgograd (l’ex Stalingrado). Con deviazione su Luhansk. La mattina si presenta bene: dopo colazione, via di gran volata. Ho previsto una deviazione, che mi aumenta i chilometri da percorrere, ma è una necessità mia, forse anche un pò al limite. Mano a mano che proseguo, il paesaggio è tetro, cupo, sembra ci sia una cappa grigia, ma invisibile; questa atmosfera risveglia in me sensazioni vissute quando ero per motivi di lavoro nella vecchia DDR, appena fuori Berlino, in un comparto industriale dove almeno la ruggine sulle travi portanti dava un tocco di colore. Qui non c’è nemmeno la ruggine! Gente anziana, con le schiene curve. Mi fermo per controllare il bagaglio e un paio di bambini si raccolgono intorno alla moto. Sorrido loro, nessuna reazione. I muscoli dei loro visi sembrano bloccati. Mentre risalgo in sella per ripartire mi balena per un attimo in testa che qui probabilmente la perestrojka non è arrivata, e i bambini nascono già vecchi. Proseguo e arrivo al punto della deviazione. Mi fermo, un ulteriore controllo con cartina e compasso – il navigatore inizia già a fare scherzi – e imbocco la strada: so che per 70 chilometri posso andare tranquillo, poi devo alzare le orecchie. Ecco infatti che compaiono dei mezzi militari, una bandiera russa. Mi fanno segno di fermarmi, cosa che prontamente faccio, e consegno i documenti; ma poi non ci capiamo: chiamano un superiore e che sia un superiore lo capisco dal fatto che assumono tutti una posizione servile. Parla bene l’inglese e mi chiede cosa ci faccio lì, se mi rendo conto che sono entrato in una zona occupata sotto la loro giurisdizione. Naturalmente parla solo dopo avermi tolto le telecamere dalla moto. Io rimango vago, fingo di non capire, mi scuso, però un paio di domande le avrei, perché non credo a quello che sento in TV. Mi fa parlare e risponde alle mie domande, chiedendomi tassativamente di non rivelare né il posto né il fatto di averci parlato. Ricevute indietro le mie telecamere, con le schede cancellate, mi rimetto sul mio percorso, soddisfatto per le risposte alle mie domande. Accelerando pensavo che non importa se queste risposte sono veritiere o meno; di fatto c’è che in fondo anche loro ne hanno le tasche piene di sparare alla propria gente. Questo pensiero mi accompagna sino a Volgograd, la città che sino al 1961 si chiamava Stalingrado, famosa nella nostra storia della Seconda Guerra Mondiale. Trovo alloggio e ristoro, sono esausto. Tante le emozioni e tanti i fatti di oggi da elaborare.

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ULTIME ORE A MOSCA E POI VERSO VORONEŽ – Mosca – Voronež, 24 maggio

Un’altra giornata a Mosca, anzi, nella dacia di Alexey. Non ho dormito troppo bene, forse per l’eccitazione di ieri, non so. Alzato alle 7, dopo la doccia raccolgo la biancheria sporca per fare l’ultima lavatrice e avere il tempo di asciugarla. La colazione prevede crepes, panna acida e marmellata di mirtilli. Poi mi dedico a fare una cosa usuale a casa: il ragù. Pomodori assolutamente freschi, ma in questo periodo non si può pretendere molto, così aggiungo della passata di pomodoro di una nota ditta italiana (sì perché qui le cose italiane ci sono), cipolle, aglio, carote, sedano e la carne; cucino le dovute ore e poi butto a cuocere la pasta nell’acqua bollente. Anche su questo sono intransigente: strettamente di marchio italiano. All’ora del pasto, spazzolano tutto. Dunque il cibo italico è ancora attraente e mette d’accordo tutti. Naturalmente ho fatto una bella pentola, così ne rimane qualche porzione da congelare in porzioni per Lena, la moglie di Alexey. Nel pomeriggio visito una chiesa molto bella, dedicata alla Madonna, poi ci rechiamo in un museo di icone, molto bello e istruttivo: il cristianesimo visto con un’altra prospettiva. A casa inizio a fare i bagagli: domani si riparte dalla dacia. Ci sono circa 2100 chilometri da fare, prima di raggiungere la Georgia. Ho deciso che li percorrerò a tappe di circa 520 chilometri ciascuna. Si riparte, quindi. A parte il gran traffico intorno a Mosca e i distributori di benzina pieni di gente, non c’è nessun avvenimento particolare, se non questa Sofia che continua a girarmi in testa. Più vado avanti e più mi domando se non sarebbe stato il caso di cercarla più accuratamente. Non penso avrebbe cambiato la situazione. E più ci penso, più avvicino quella persona, Sofia, a mia moglie. Certi sguardi, certi momenti, le pause nella dialettica, me la ricordano. Mi aveva colpito che le pause nella dialettica sono diverse tra la lingua italiana e la lingua tedesca, all’interno di una frase che significava lo stesso. Sofia mi aveva parlato in un italiano perfetto, le pause tra le parole, però, corrispondevano alla lingua tedesca. A questa cosa non avevo fatto caso prima, perché Esther e io come lingua madre le avevamo entrambi; lo stesso dicasi per mio figlio. Guido tranquillo lungo una strada che assomiglia alle nostre autostrade però con incroci e fermate di autobus, che si snoda su una pianura con qualche monumento inneggiante ai vecchi concetti politici. Corro a 100 km/h, con la visiera aperta perché mi piace il vento che mi accarezza il viso, e annuso gli odori, a volte così intensi, a volte così delicati. Cerco di pensare a altro, tornare alla razionalità. E la trovo, per fortuna, davanti a me: un incrocio e la polizia al lato destro. Rallento, mi guardano, saluto e tiro dritto; alla pompa di benzina successiva mi fermo, faccio pieno e bevo un caffè. Ci voleva per rompere quel pensiero in cui mi sono ritrovato. Riprendo il viaggio, e tra un’imprecazione e un’altra sono arrivo a Voronež. Fatti due giri della citt, trovo il mio albergo, sempre senza l’aiuto del navigatore, per via dei missili. Doccia, cena e via a letto.

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CROCIERA A MOSCA – Mosca, 22 maggio

L’aria è frizzantina, ma splende un bel sole; non c’è una nuvola in giro neanche a cercarla col binocolo. Ho dormito bene, anche se qualche dolorino alle gambe lo sento: ieri abbiamo fatto una bella camminata e oggi mi sono messo in testa di fare una cosa che non ho mai fatto qui a Mosca: prendo il battello e mi faccio una crociera sulla Moskva, il fiume che passa in mezzo alla città. Questa mattina faccio una piccola prova di orientamento. È una piccola cosa per acquisire sicurezza e muovermi con una certa tranquillità in ambienti sconosciuti. Ci diamo appuntamento per il pomeriggio all’imbarcadero della flotta del Radison (sei navi per navigazione sul fiume). Una mini crociera che vogliamo concederci il pomeriggio, per vedere Mosca dal lato del suo fiume. Fatta colazione, mi faccio consegnare la cartina della metropolitana e degli autobus sulle quali ci si può orientare solo usando i numeri come riferimento; lo stesso vale per le piazze. Cellulare spento in tasca, da usarsi solo in caso di emergenza, e si parte. L’ambiente è completamente ostile per me: non posso comunicare, non parlo russo né sono in grado di leggere il cirillico. Unico punto fisso è la partenza: la casa di Alexey, il mio amico. Inizialmente va tutto bene, poi iniziano a salire i dubbi: al primo riferimento numerico non riportato sulla strada o piazza monta il panico. Ma tengo botta, resisto al tentativo del cellulare. È una sfida tutta mia, tra lo stomaco, la logica e forse anche la pigrizia, che fa la voce più grossa. Naturalmente trovo il numero successivo, è fuori percorso, ci metto del tempo, per riportarmi in quella che può chiamarsi la “retta via”. Una volta ripresa, tutti quei dubbi, paure e insicurezze per buona parte spariscono e la voglia che insiste sul prendere il cellulare, si placa. Certo resta il freno maggiore per tutto il tempo, quello che più mi tenta con insistenza maggiore. Questo test in passato l’ho fatto anche in altre città, e con un po’ di furbizia, cercando di distinguere i caratteri cirillici e trovare una logica compatibile con la mia”forma mentis”, il risultato era stat praticamente sicuro. Qui a Mosca ho voluto sfruttare la massima complicazione, per testare me stesso. Dunque amplificare, se così si può dire, quei dubbi proprio inerenti gli equilibri di sicurezza interni miei. Devo dire che ho provato un po’ di tutto: tensione, ansia, paura, tentazione e soprattutto – forse la più difficile – combattere contro quella logica di comodità che abbiamo tutti a portata di mano: perché non prendere il cellulare? Forse sono un po all’antica, ma penso che quello che faccio questa mattina sia un ottimo esercizio per acquisire sicurezza, autostima e rispetto per tutto quello che è intorno a me. Nella vita queste capacità servono sicuramente anche nei rapporti interpersonali. Si insegna – e si pratica – il rispetto del prossimo proprio perché si conoscono quelle paure, ansie e tensioni dell’individuo, avendole provate in primo luogo sulla propria pelle. Per dirla chiara e non ci è stata dato una ricetta per ogni problema. Proseguendo nel mio percorso, mi avvicino all’imbarcadero sino a quando, dopo un incrocio, mi trovo sulla riva del fiume. Ora il problema che si pone é: salgo o scendo la corrente? Sono a buon punto e sento lo stomaco alleggerito. Do spazio alla logica, al cervello. Inizio a girare più piazze lì intorno, per fare il punto dove mi trovavo a seconda dei famosi numeri. Chi è stato a Mosca sa che qui le piazze non sono piccole e che percorrere un chilometro per girarci intorno a piedi non è una rarità. Stabilita la posizione e consultata la cartina capisco che devo salire la corrente. Riparto di buon passo e e dopo circa venti minuti arrivo all’imbarcadero, felice come un bambino: ora il sentimento da controllare, è l’orgoglio. Avevo superato il mio test, forse non brillantemente, ma qui non vengono distribuiti punti o voti: la scuola è quella della vita, non c’è università che te la insegni. Il pomeriggio poi, con molta calma, facciamo questa mini crociera. Mentre lo scafo scivola sulla Moskva, a destra e sinistra passano i monumenti e i ministeri più importanti, sempre immersi nel verde surrealista delle piante che abbracciano le sponde del fiume da ambo le parti.

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PASSAGGIO IN RUSSIA E UN INCONTRO MISTERIOSO – Mosca, 20 maggio

Parto per la frontiera russa, di buon mattino, sperando di trovare poco traffico. La frontiera si trova circa a 50 chilometri. Percorrendo la strada incrocio poche auto, ma una marea di camion. Passo avanti per raggiungere la frontiera e nel giro di pochi minuti mi trovo già al controllo dei documenti. Il passaporto è a posto, mi fanno le classiche domande sul motivo del mio viaggio, controllano le app del cellulare, copiano il codice imei del telefono che, anche se cambi la sim, permette di poterlo rintracciare. L’Ufficiale è molto gentile e parla molto bene l’inglese. Facciamo anche quattro chiacchiere. Poi sorridendo e stringendoci la mano, ci lasciamo. Passo la zona neutra, che fa da cuscinetto tra Bielorussia e Russia. E arrivo al container dedicato all’assicurazione. Sì, perché grazie alle sanzioni imposte contro la Russia, le assicurazioni hanno subito revocato le coperture, spesso senza ritornare nulla all’assicurato anche se hanno diminuito i servizi. Però, guarda caso, qualche assicurazione funziona lo stesso. L’addetto svolge tutte le pratiche necessarie anche se impiega più tempo del previsto. Esco con la polizza in mano e trovo un capannello di poliziotti intorno alla moto. Meno male sono solo curiosi… anche troppo! Mi fanno mille domande, ma fortunatamente nessuno parla inglese così me la cavo rispondendo solo a quelli con cui ci capivamo, anche con i gesti. Salito sulla moto parto per gli ultimi chilometri prima di Mosca: sono ancora 500. Lungo la strada tutto va bene, ogni tanto incontro qualche goccia di acqua qua e là ma soprattutto molta curiosità ai distributori di benzina: pare che le targhe italiane siano molto rare a queste latitudini. Mi avvicino a Mosca all’orario previsto. Attraverso la Moskva, il fiume che divide Mosca in due parti: ormai sono in città, tra una postazione e l’altra di antimissili. Io sono tranquillo, quando a un tratto il navigatore si mette a riposo: nessun segnale GPS appare sul display. Subito mi fermo e ho una serie di pensieri turbolenti mi si addensano in mente; poi riprendo in mano il telefono e chiamo il mio amico di Mosca, Alexey (anche lui). Mi tranquillizza spiegandomi che è una cosa normale: lì il segnale GPS viene coperto per evitare che i missili in arrivo siano in grado di centrare gli obiettivi. Agghiacciante direi. Mentre sono fermo che parlo al telefono, mi si avvicina una persona in divisa; mi parla, ma non capisco la sua lingua e allora gli passo il mio amico al telefono. I due parlano e quando hanno finito lui mi ripassa il cellulare e Alexey mi dice di seguire quell’uomo: mi porterà lui in dacia, dove abbiamo appuntamento. L’uomo mi guida per 71 chilometri fino all’ultima strada per la dacia; imboccata quella, si ferma e mi spiega che, fatti altri 4 chilometri, avrei trovato la dacia di Alexey. Classica stretta di mano, abbraccio, poi le foto di rito, noi e la moto, cosa che a partire dai distributori russi, è diventato un must. Mi lascia e proseguo da solo. Arrivo al posto, entro per la stradina e mi trovo quattro piccole vie con Dacie a destra e sinistra, ma ogni entrata è chiusa con il lucchetto. Vado su e giù un paio di volte per vedere se scorgo la moglie di Alexey, perché dovrebbe esserci lei a aspettarmi (Alexey è a Budapest). Niente. Torno su all’inizio della strada: dopo un viaggio di 500 chilometri, fatti tutti in un tiro, ho il diritto di riposarmi un po’. Prendo un pò d’aria, scarico la tensione con qualche esercizio imparato non ricordo dove né in quale occasione, ma utile ogni tanto. Alcune macchine mi passano piano accanto perchè la strada prosegue addentrandosi in un bosco. Non ricordo se la terza o la quarta auto si ferma; chi è alla guida abbassa il finestrino mi sento apostrofare: “Lei è Italiano?” Non faccio in tempo a rispondere che continua “Perché ho visto la targa…” Sono sorpreso, ma non più di tanto. Mi sono accorta che è una donna; quando scende, le rivolgo complimenti sinceri per come parla l’italiano. Lei inizia a raccontarmi la sua storia: è nata e cresciuta in Italia, a Milano, la mamma è una ex insegnante di madrelingua russa, all’Università di Milano, il padre invece era toscano; l’anno scorso la madre è andata in pensione e sono rientrati in Russia, il padre è morto. Mentre mi racconta queste cose, tra l’altro anche molto personale, ha uno sguardo molto dolce, con qualcosa che non ho mai visto. Le chiedo se conosce la dacia del mio amico Alexey, visto che saranno una dozzina in tutto. Mi dice di no. Mi chiede invece se poteva permettersi di chiedere perché sono lì; le racconto quindi del viaggio e di mia moglie Esther. Parlando, provo una strana sensazione, un calore mi fa stare bene; lei con voce tranquilla aggiunge di un paio di cose sue e poi mi dice che la dacia di Alexey dovrebbe essere l’ultimo cancello a destra lungo la quarta traversa. Prima di andare voglio sincerarmi di aver capito bene, e glielo richiedo. Si scusa e ammette di non ricordarlo più. Rimango basito. Mi spiega che era stata operata da un tumore al cervello in Italia e soffre di qualche vuoto di memoria. Mi dà l’impressione che ne voglia parlare, e così facciamo. Mi racconta che ha avuto anche una morte, momentanea. Le chiedo se ha visto un tunnel di luce bianca, mi dice di no; ha invece incontrato suo padre, al quale ha chiesto se fosse giunto anche per lei il momento della morte. Ma il padre l’ha tranquillizzata, se ne era andata e lei si era svegliata. Sono rimasto stregato a ascoltarla, ma non per ciò che dice, ma per come lo racconta. La sua tranquillità è tale da far paura e indescrivibile la dolcezza che irradia. Non sono un tipo romantico, ma questo incontro mi ha turbato. Ci salutiamo, io proseguo la strada secondo le indicazioni ricevute, telefono e mi viene a aprirmi Lena, la moglie di Alexey. Metto la moto in

PASSAGGIO IN RUSSIA E UN INCONTRO MISTERIOSO – Mosca, 20 maggio Leggi l'articolo »

CARTE DI CREDITO, TECNOLOGIA E GEOPOLITICA – Minsk, 18 maggio

Al mattino mi alzo e recupero tutte le cose della cura personale che alla sera ero troppo stanco per fare: mi dedico al bucato quindi lavo la biancheria e dopo la doccia mi aspetta la barba. Non sono il tipo che rimane con la barba lunga! La mattina è domenica e viene a trovarmi un vecchio amico che non vedevo dal 2008, un ex collega diciamo, con il quale telefonicamente ci siamo sempre tenuti in contatto. Si chiama Alexey. Mi anticipa che ha un invito per la presentazione di una nuova auto cinese, una berlina elettrica del brand AVATR; se mi va, mi ci porta. Naturalmente dico di sì! Il bungalow dove alloggio si trova a circa 4 km dalla città di Minsk. Così ci immergiamo nella tecnologia elettrica cinese e proviamo pure le auto: in accelerazione sul 1/4 di miglio e lungo un percorso di abilità. Confrontata a queste vetture, mi sento di dire la nota auto elettrica americana ha ben poche possibilità di competere, sia per finiture che per linea e estetica. Alla fine della giornata andiamo a cena insieme e Alexey mette subito in chiaro che io sono suo ospite, in nome della nostra amicizia. A tavola gli racconto i problemi incontrati fino a qui: per esempio, ho tre carte di credito, sufficiente liquidità in euro, ma tutto ciò non è servito per pagarmi la benzina. Attualmente infatti sono fermo con mezzo serbatoio di benzina al bungalow e devo pure pagare il bungalow. Con grande tranquillità Alexey mi rassicura: “Domani, prima che tu parta, risolviamo”. Per la prima volta nella mia vita sono tranquillo, anche senza certezze. Il giorno dopo, lascio la moto pronta e caricata nel bungalow, avviso la reception e passa a prendermi Alexey per andare a Minsk. A Minsk ci rechiamo in una delle filiali della sua banca. Chiede una carta per me, che io possa ricaricare al bisogno e che sia riconosciuta in questi paesi. Mi chiedono il passaporto e, appena preso in carico, gli dicono subito che non è possibile: ci sono delle limitazioni per i cittadini dell’Unione Europea e per quelli statunitensi. Senza battere ciglio, Alexey parla con il funzionario della banca, risponde a tono alle sue domande. Nel giro di qualche minuto l’impiegato consegna a Alexey due carte di credito: una per i rubli da usare in Bielorussia e Russia e l’altra per gli euro che lavora in Europa e resto del mondo; con questa accoppiata, attraverso un app posso spostare denaro da una carta all’altra senza sorprese. Fatto l’embargo, trovato l’inganno. Però dopo un po’ mi sorge un dubbio: a quale conto si appoggiano queste carte? Visto che non è possibile appoggiarle al mio, qual è il conto corrente di appoggio? Alexey ha messo a disposizione il suo. D’accordo la fiducia, ma sino a questo punto non me lo sarei aspettato. Dopo 17 anni che non ci vedevamo, non ha avuto dubbi e si è messo a disposizione. Quanti lo farebbero? Rientrati al Bungalow, provo la carta: pago e riparto alla volta di Orša, una cittadina dove faccio solo tappa per godermi due belle birre fresche e dormire. Sotto la pioggia, che continua a scendere a intermittenza.

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AVVISO

Ci scusiamo per il ritardo sugli aggiornamenti di viaggio, dovuti a causa di problemi tecnici e soprattutto ai blocchi alle applicazioni internet in Bielorussia e Russia.

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