ULTIME ORE A MOSCA E POI VERSO VORONEŽ – Mosca – Voronež, 24 maggio
Un’altra giornata a Mosca, anzi, nella dacia di Alexey. Non ho dormito troppo bene, forse per l’eccitazione di ieri, non so. Alzato alle 7, dopo la doccia raccolgo la biancheria sporca per fare l’ultima lavatrice e avere il tempo di asciugarla. La colazione prevede crepes, panna acida e marmellata di mirtilli. Poi mi dedico a fare una cosa usuale a casa: il ragù. Pomodori assolutamente freschi, ma in questo periodo non si può pretendere molto, così aggiungo della passata di pomodoro di una nota ditta italiana (sì perché qui le cose italiane ci sono), cipolle, aglio, carote, sedano e la carne; cucino le dovute ore e poi butto a cuocere la pasta nell’acqua bollente. Anche su questo sono intransigente: strettamente di marchio italiano. All’ora del pasto, spazzolano tutto. Dunque il cibo italico è ancora attraente e mette d’accordo tutti. Naturalmente ho fatto una bella pentola, così ne rimane qualche porzione da congelare in porzioni per Lena, la moglie di Alexey. Nel pomeriggio visito una chiesa molto bella, dedicata alla Madonna, poi ci rechiamo in un museo di icone, molto bello e istruttivo: il cristianesimo visto con un’altra prospettiva. A casa inizio a fare i bagagli: domani si riparte dalla dacia. Ci sono circa 2100 chilometri da fare, prima di raggiungere la Georgia. Ho deciso che li percorrerò a tappe di circa 520 chilometri ciascuna. Si riparte, quindi. A parte il gran traffico intorno a Mosca e i distributori di benzina pieni di gente, non c’è nessun avvenimento particolare, se non questa Sofia che continua a girarmi in testa. Più vado avanti e più mi domando se non sarebbe stato il caso di cercarla più accuratamente. Non penso avrebbe cambiato la situazione. E più ci penso, più avvicino quella persona, Sofia, a mia moglie. Certi sguardi, certi momenti, le pause nella dialettica, me la ricordano. Mi aveva colpito che le pause nella dialettica sono diverse tra la lingua italiana e la lingua tedesca, all’interno di una frase che significava lo stesso. Sofia mi aveva parlato in un italiano perfetto, le pause tra le parole, però, corrispondevano alla lingua tedesca. A questa cosa non avevo fatto caso prima, perché Esther e io come lingua madre le avevamo entrambi; lo stesso dicasi per mio figlio. Guido tranquillo lungo una strada che assomiglia alle nostre autostrade però con incroci e fermate di autobus, che si snoda su una pianura con qualche monumento inneggiante ai vecchi concetti politici. Corro a 100 km/h, con la visiera aperta perché mi piace il vento che mi accarezza il viso, e annuso gli odori, a volte così intensi, a volte così delicati. Cerco di pensare a altro, tornare alla razionalità. E la trovo, per fortuna, davanti a me: un incrocio e la polizia al lato destro. Rallento, mi guardano, saluto e tiro dritto; alla pompa di benzina successiva mi fermo, faccio pieno e bevo un caffè. Ci voleva per rompere quel pensiero in cui mi sono ritrovato. Riprendo il viaggio, e tra un’imprecazione e un’altra sono arrivo a Voronež. Fatti due giri della citt, trovo il mio albergo, sempre senza l’aiuto del navigatore, per via dei missili. Doccia, cena e via a letto.
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