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ULTIME ORE A MOSCA E POI VERSO VORONEŽ – Mosca – Voronež, 24 maggio

Un’altra giornata a Mosca, anzi, nella dacia di Alexey. Non ho dormito troppo bene, forse per l’eccitazione di ieri, non so. Alzato alle 7, dopo la doccia raccolgo la biancheria sporca per fare l’ultima lavatrice e avere il tempo di asciugarla. La colazione prevede crepes, panna acida e marmellata di mirtilli. Poi mi dedico a fare una cosa usuale a casa: il ragù. Pomodori assolutamente freschi, ma in questo periodo non si può pretendere molto, così aggiungo della passata di pomodoro di una nota ditta italiana (sì perché qui le cose italiane ci sono), cipolle, aglio, carote, sedano e la carne; cucino le dovute ore e poi butto a cuocere la pasta nell’acqua bollente. Anche su questo sono intransigente: strettamente di marchio italiano. All’ora del pasto, spazzolano tutto. Dunque il cibo italico è ancora attraente e mette d’accordo tutti. Naturalmente ho fatto una bella pentola, così ne rimane qualche porzione da congelare in porzioni per Lena, la moglie di Alexey. Nel pomeriggio visito una chiesa molto bella, dedicata alla Madonna, poi ci rechiamo in un museo di icone, molto bello e istruttivo: il cristianesimo visto con un’altra prospettiva. A casa inizio a fare i bagagli: domani si riparte dalla dacia. Ci sono circa 2100 chilometri da fare, prima di raggiungere la Georgia. Ho deciso che li percorrerò a tappe di circa 520 chilometri ciascuna. Si riparte, quindi. A parte il gran traffico intorno a Mosca e i distributori di benzina pieni di gente, non c’è nessun avvenimento particolare, se non questa Sofia che continua a girarmi in testa. Più vado avanti e più mi domando se non sarebbe stato il caso di cercarla più accuratamente. Non penso avrebbe cambiato la situazione. E più ci penso, più avvicino quella persona, Sofia, a mia moglie. Certi sguardi, certi momenti, le pause nella dialettica, me la ricordano. Mi aveva colpito che le pause nella dialettica sono diverse tra la lingua italiana e la lingua tedesca, all’interno di una frase che significava lo stesso. Sofia mi aveva parlato in un italiano perfetto, le pause tra le parole, però, corrispondevano alla lingua tedesca. A questa cosa non avevo fatto caso prima, perché Esther e io come lingua madre le avevamo entrambi; lo stesso dicasi per mio figlio. Guido tranquillo lungo una strada che assomiglia alle nostre autostrade però con incroci e fermate di autobus, che si snoda su una pianura con qualche monumento inneggiante ai vecchi concetti politici. Corro a 100 km/h, con la visiera aperta perché mi piace il vento che mi accarezza il viso, e annuso gli odori, a volte così intensi, a volte così delicati. Cerco di pensare a altro, tornare alla razionalità. E la trovo, per fortuna, davanti a me: un incrocio e la polizia al lato destro. Rallento, mi guardano, saluto e tiro dritto; alla pompa di benzina successiva mi fermo, faccio pieno e bevo un caffè. Ci voleva per rompere quel pensiero in cui mi sono ritrovato. Riprendo il viaggio, e tra un’imprecazione e un’altra sono arrivo a Voronež. Fatti due giri della citt, trovo il mio albergo, sempre senza l’aiuto del navigatore, per via dei missili. Doccia, cena e via a letto.

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CROCIERA A MOSCA – Mosca, 22 maggio

L’aria è frizzantina, ma splende un bel sole; non c’è una nuvola in giro neanche a cercarla col binocolo. Ho dormito bene, anche se qualche dolorino alle gambe lo sento: ieri abbiamo fatto una bella camminata e oggi mi sono messo in testa di fare una cosa che non ho mai fatto qui a Mosca: prendo il battello e mi faccio una crociera sulla Moskva, il fiume che passa in mezzo alla città. Questa mattina faccio una piccola prova di orientamento. È una piccola cosa per acquisire sicurezza e muovermi con una certa tranquillità in ambienti sconosciuti. Ci diamo appuntamento per il pomeriggio all’imbarcadero della flotta del Radison (sei navi per navigazione sul fiume). Una mini crociera che vogliamo concederci il pomeriggio, per vedere Mosca dal lato del suo fiume. Fatta colazione, mi faccio consegnare la cartina della metropolitana e degli autobus sulle quali ci si può orientare solo usando i numeri come riferimento; lo stesso vale per le piazze. Cellulare spento in tasca, da usarsi solo in caso di emergenza, e si parte. L’ambiente è completamente ostile per me: non posso comunicare, non parlo russo né sono in grado di leggere il cirillico. Unico punto fisso è la partenza: la casa di Alexey, il mio amico. Inizialmente va tutto bene, poi iniziano a salire i dubbi: al primo riferimento numerico non riportato sulla strada o piazza monta il panico. Ma tengo botta, resisto al tentativo del cellulare. È una sfida tutta mia, tra lo stomaco, la logica e forse anche la pigrizia, che fa la voce più grossa. Naturalmente trovo il numero successivo, è fuori percorso, ci metto del tempo, per riportarmi in quella che può chiamarsi la “retta via”. Una volta ripresa, tutti quei dubbi, paure e insicurezze per buona parte spariscono e la voglia che insiste sul prendere il cellulare, si placa. Certo resta il freno maggiore per tutto il tempo, quello che più mi tenta con insistenza maggiore. Questo test in passato l’ho fatto anche in altre città, e con un po’ di furbizia, cercando di distinguere i caratteri cirillici e trovare una logica compatibile con la mia”forma mentis”, il risultato era stat praticamente sicuro. Qui a Mosca ho voluto sfruttare la massima complicazione, per testare me stesso. Dunque amplificare, se così si può dire, quei dubbi proprio inerenti gli equilibri di sicurezza interni miei. Devo dire che ho provato un po’ di tutto: tensione, ansia, paura, tentazione e soprattutto – forse la più difficile – combattere contro quella logica di comodità che abbiamo tutti a portata di mano: perché non prendere il cellulare? Forse sono un po all’antica, ma penso che quello che faccio questa mattina sia un ottimo esercizio per acquisire sicurezza, autostima e rispetto per tutto quello che è intorno a me. Nella vita queste capacità servono sicuramente anche nei rapporti interpersonali. Si insegna – e si pratica – il rispetto del prossimo proprio perché si conoscono quelle paure, ansie e tensioni dell’individuo, avendole provate in primo luogo sulla propria pelle. Per dirla chiara e non ci è stata dato una ricetta per ogni problema. Proseguendo nel mio percorso, mi avvicino all’imbarcadero sino a quando, dopo un incrocio, mi trovo sulla riva del fiume. Ora il problema che si pone é: salgo o scendo la corrente? Sono a buon punto e sento lo stomaco alleggerito. Do spazio alla logica, al cervello. Inizio a girare più piazze lì intorno, per fare il punto dove mi trovavo a seconda dei famosi numeri. Chi è stato a Mosca sa che qui le piazze non sono piccole e che percorrere un chilometro per girarci intorno a piedi non è una rarità. Stabilita la posizione e consultata la cartina capisco che devo salire la corrente. Riparto di buon passo e e dopo circa venti minuti arrivo all’imbarcadero, felice come un bambino: ora il sentimento da controllare, è l’orgoglio. Avevo superato il mio test, forse non brillantemente, ma qui non vengono distribuiti punti o voti: la scuola è quella della vita, non c’è università che te la insegni. Il pomeriggio poi, con molta calma, facciamo questa mini crociera. Mentre lo scafo scivola sulla Moskva, a destra e sinistra passano i monumenti e i ministeri più importanti, sempre immersi nel verde surrealista delle piante che abbracciano le sponde del fiume da ambo le parti.

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PASSAGGIO IN RUSSIA E UN INCONTRO MISTERIOSO – Mosca, 20 maggio

Parto per la frontiera russa, di buon mattino, sperando di trovare poco traffico. La frontiera si trova circa a 50 chilometri. Percorrendo la strada incrocio poche auto, ma una marea di camion. Passo avanti per raggiungere la frontiera e nel giro di pochi minuti mi trovo già al controllo dei documenti. Il passaporto è a posto, mi fanno le classiche domande sul motivo del mio viaggio, controllano le app del cellulare, copiano il codice imei del telefono che, anche se cambi la sim, permette di poterlo rintracciare. L’Ufficiale è molto gentile e parla molto bene l’inglese. Facciamo anche quattro chiacchiere. Poi sorridendo e stringendoci la mano, ci lasciamo. Passo la zona neutra, che fa da cuscinetto tra Bielorussia e Russia. E arrivo al container dedicato all’assicurazione. Sì, perché grazie alle sanzioni imposte contro la Russia, le assicurazioni hanno subito revocato le coperture, spesso senza ritornare nulla all’assicurato anche se hanno diminuito i servizi. Però, guarda caso, qualche assicurazione funziona lo stesso. L’addetto svolge tutte le pratiche necessarie anche se impiega più tempo del previsto. Esco con la polizza in mano e trovo un capannello di poliziotti intorno alla moto. Meno male sono solo curiosi… anche troppo! Mi fanno mille domande, ma fortunatamente nessuno parla inglese così me la cavo rispondendo solo a quelli con cui ci capivamo, anche con i gesti. Salito sulla moto parto per gli ultimi chilometri prima di Mosca: sono ancora 500. Lungo la strada tutto va bene, ogni tanto incontro qualche goccia di acqua qua e là ma soprattutto molta curiosità ai distributori di benzina: pare che le targhe italiane siano molto rare a queste latitudini. Mi avvicino a Mosca all’orario previsto. Attraverso la Moskva, il fiume che divide Mosca in due parti: ormai sono in città, tra una postazione e l’altra di antimissili. Io sono tranquillo, quando a un tratto il navigatore si mette a riposo: nessun segnale GPS appare sul display. Subito mi fermo e ho una serie di pensieri turbolenti mi si addensano in mente; poi riprendo in mano il telefono e chiamo il mio amico di Mosca, Alexey (anche lui). Mi tranquillizza spiegandomi che è una cosa normale: lì il segnale GPS viene coperto per evitare che i missili in arrivo siano in grado di centrare gli obiettivi. Agghiacciante direi. Mentre sono fermo che parlo al telefono, mi si avvicina una persona in divisa; mi parla, ma non capisco la sua lingua e allora gli passo il mio amico al telefono. I due parlano e quando hanno finito lui mi ripassa il cellulare e Alexey mi dice di seguire quell’uomo: mi porterà lui in dacia, dove abbiamo appuntamento. L’uomo mi guida per 71 chilometri fino all’ultima strada per la dacia; imboccata quella, si ferma e mi spiega che, fatti altri 4 chilometri, avrei trovato la dacia di Alexey. Classica stretta di mano, abbraccio, poi le foto di rito, noi e la moto, cosa che a partire dai distributori russi, è diventato un must. Mi lascia e proseguo da solo. Arrivo al posto, entro per la stradina e mi trovo quattro piccole vie con Dacie a destra e sinistra, ma ogni entrata è chiusa con il lucchetto. Vado su e giù un paio di volte per vedere se scorgo la moglie di Alexey, perché dovrebbe esserci lei a aspettarmi (Alexey è a Budapest). Niente. Torno su all’inizio della strada: dopo un viaggio di 500 chilometri, fatti tutti in un tiro, ho il diritto di riposarmi un po’. Prendo un pò d’aria, scarico la tensione con qualche esercizio imparato non ricordo dove né in quale occasione, ma utile ogni tanto. Alcune macchine mi passano piano accanto perchè la strada prosegue addentrandosi in un bosco. Non ricordo se la terza o la quarta auto si ferma; chi è alla guida abbassa il finestrino mi sento apostrofare: “Lei è Italiano?” Non faccio in tempo a rispondere che continua “Perché ho visto la targa…” Sono sorpreso, ma non più di tanto. Mi sono accorta che è una donna; quando scende, le rivolgo complimenti sinceri per come parla l’italiano. Lei inizia a raccontarmi la sua storia: è nata e cresciuta in Italia, a Milano, la mamma è una ex insegnante di madrelingua russa, all’Università di Milano, il padre invece era toscano; l’anno scorso la madre è andata in pensione e sono rientrati in Russia, il padre è morto. Mentre mi racconta queste cose, tra l’altro anche molto personale, ha uno sguardo molto dolce, con qualcosa che non ho mai visto. Le chiedo se conosce la dacia del mio amico Alexey, visto che saranno una dozzina in tutto. Mi dice di no. Mi chiede invece se poteva permettersi di chiedere perché sono lì; le racconto quindi del viaggio e di mia moglie Esther. Parlando, provo una strana sensazione, un calore mi fa stare bene; lei con voce tranquilla aggiunge di un paio di cose sue e poi mi dice che la dacia di Alexey dovrebbe essere l’ultimo cancello a destra lungo la quarta traversa. Prima di andare voglio sincerarmi di aver capito bene, e glielo richiedo. Si scusa e ammette di non ricordarlo più. Rimango basito. Mi spiega che era stata operata da un tumore al cervello in Italia e soffre di qualche vuoto di memoria. Mi dà l’impressione che ne voglia parlare, e così facciamo. Mi racconta che ha avuto anche una morte, momentanea. Le chiedo se ha visto un tunnel di luce bianca, mi dice di no; ha invece incontrato suo padre, al quale ha chiesto se fosse giunto anche per lei il momento della morte. Ma il padre l’ha tranquillizzata, se ne era andata e lei si era svegliata. Sono rimasto stregato a ascoltarla, ma non per ciò che dice, ma per come lo racconta. La sua tranquillità è tale da far paura e indescrivibile la dolcezza che irradia. Non sono un tipo romantico, ma questo incontro mi ha turbato. Ci salutiamo, io proseguo la strada secondo le indicazioni ricevute, telefono e mi viene a aprirmi Lena, la moglie di Alexey. Metto la moto in

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CARTE DI CREDITO, TECNOLOGIA E GEOPOLITICA – Minsk, 18 maggio

Al mattino mi alzo e recupero tutte le cose della cura personale che alla sera ero troppo stanco per fare: mi dedico al bucato quindi lavo la biancheria e dopo la doccia mi aspetta la barba. Non sono il tipo che rimane con la barba lunga! La mattina è domenica e viene a trovarmi un vecchio amico che non vedevo dal 2008, un ex collega diciamo, con il quale telefonicamente ci siamo sempre tenuti in contatto. Si chiama Alexey. Mi anticipa che ha un invito per la presentazione di una nuova auto cinese, una berlina elettrica del brand AVATR; se mi va, mi ci porta. Naturalmente dico di sì! Il bungalow dove alloggio si trova a circa 4 km dalla città di Minsk. Così ci immergiamo nella tecnologia elettrica cinese e proviamo pure le auto: in accelerazione sul 1/4 di miglio e lungo un percorso di abilità. Confrontata a queste vetture, mi sento di dire la nota auto elettrica americana ha ben poche possibilità di competere, sia per finiture che per linea e estetica. Alla fine della giornata andiamo a cena insieme e Alexey mette subito in chiaro che io sono suo ospite, in nome della nostra amicizia. A tavola gli racconto i problemi incontrati fino a qui: per esempio, ho tre carte di credito, sufficiente liquidità in euro, ma tutto ciò non è servito per pagarmi la benzina. Attualmente infatti sono fermo con mezzo serbatoio di benzina al bungalow e devo pure pagare il bungalow. Con grande tranquillità Alexey mi rassicura: “Domani, prima che tu parta, risolviamo”. Per la prima volta nella mia vita sono tranquillo, anche senza certezze. Il giorno dopo, lascio la moto pronta e caricata nel bungalow, avviso la reception e passa a prendermi Alexey per andare a Minsk. A Minsk ci rechiamo in una delle filiali della sua banca. Chiede una carta per me, che io possa ricaricare al bisogno e che sia riconosciuta in questi paesi. Mi chiedono il passaporto e, appena preso in carico, gli dicono subito che non è possibile: ci sono delle limitazioni per i cittadini dell’Unione Europea e per quelli statunitensi. Senza battere ciglio, Alexey parla con il funzionario della banca, risponde a tono alle sue domande. Nel giro di qualche minuto l’impiegato consegna a Alexey due carte di credito: una per i rubli da usare in Bielorussia e Russia e l’altra per gli euro che lavora in Europa e resto del mondo; con questa accoppiata, attraverso un app posso spostare denaro da una carta all’altra senza sorprese. Fatto l’embargo, trovato l’inganno. Però dopo un po’ mi sorge un dubbio: a quale conto si appoggiano queste carte? Visto che non è possibile appoggiarle al mio, qual è il conto corrente di appoggio? Alexey ha messo a disposizione il suo. D’accordo la fiducia, ma sino a questo punto non me lo sarei aspettato. Dopo 17 anni che non ci vedevamo, non ha avuto dubbi e si è messo a disposizione. Quanti lo farebbero? Rientrati al Bungalow, provo la carta: pago e riparto alla volta di Orša, una cittadina dove faccio solo tappa per godermi due belle birre fresche e dormire. Sotto la pioggia, che continua a scendere a intermittenza.

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PASSAGGIO A UN ALTRO MONDO – Terespol – Minsk, 17 maggio

Arrivo a Terespol, alla dogana tra la Polonia e la Bielorussia. Mi avevano avvertito che ci sarebbe stato da aspettare, che normalmente le ore scorrono prima di poter attraversare il confine. Infatti a aspettarmi trovo una colonna di auto e camion, ma con la moto posso andare avanti, superare un po’ e allora mi dirigo verso l’addetto che mi fa segno di accostare a destra e mi chiede il passaporto. Glielo consegno obbediente e lui sparisce. Eseguito il controllo della persona, la procedura prevede che si passi a una vera e propria intervista; forse l’unica cosa che non mi chiede è il numero di scarpe. In realtà la parte più difficile arriva adesso: burocrazia, formulari da compilare solo in cirillico, lingua che non mastico assolutamente. Si comincia con le dichiarazioni doganali per passare  all’importazione provvisoria della moto in territorio bielorusso. Lì faccio appello a tutte le possibilità che mi offre la tecnologia! Google Translator: se non conosci la lingua non c’è di più. Faccio la foto al documento e Google me lo traduce tutto frammentato – e incomprensibile. Attivo l’intelligenza artificiale, che pare non conoscere la lingua. Va bene, inspiro profondamente e mi guardo attorno. Si avvicina un motociclista al quale ovviamente sorrido; chiede se mi può aiutare. Gli spiego la situazione e si attiva: si chiama Antony, è di Brest, la prima cittadina entrando in Bielorussia, e parla perfettamente l’inglese oltre ovviamente la lingua locale e l’alfabeto cirillico. Mi spiega tutte le voci dei moduli che mi sono stati consegnati, li compila per me traducendo le risposte che gli do. Lo ringrazio. Proseguiamo fianco a fianco l’intera procedura di passaggio della frontiera, fino all’ultimo controllo: il passaggio con la moto ai raggi X. Per fortuna ne siamo stati esonerati. Dopo quattro ore e mezzo la procedura finisce, ma per sicurezza, Antony aveva chiamato un suo amico a Brest, che mi facesse da riferimento in caso ci avessero separati. A questo punto dovevo ringraziarlo e così scappa l’invito a pranzo a Brest, dall’amico di Antony. Non potevo certo esimermi dopo che mi aveva assistito anche lui “da remoto” da quattro ore. La fratellanza tra motociclisti non è solo proforma, ma qualcosa di reale: se da motociclista finisci all’inferno, ci sarà sempre qualcuno che viene a tirarti fuori… magari guidando una moto! E così a Brest trovo a aspettarmi l’amico di Antony e una bella bistecca impanata! Saluto la famiglia, ovviamente tutti motociclistici anche loro, e via di nuovo in partenza, con sei ore di ritardo sulla mia tabella di marcia. La direzione adesso è Minsk. Circa 25 km prima di arrivare a Minsk, capitale della Bielorussia, devo fare rifornimento e mi fermo a una stazione di servizio. Provo le pompe, ma non funzionano. Entro dal benzinaio, ma nessuno parla inglese, non accettano złoty, la moneta polacca, e nemmeno euro. Bene, sono bloccato qui  anche perché tutte le carte di credito europee sono state staccate dal circuito. Inzuppato di pioggia e infreddolito, anche le imprecazioni si erano anestetizzate. Penso di chiedere dov’è la toilette per trascorrere la notte. Ma si avvicina un signore con la moglie e una bambina e mi chiede quale sia il problema, in inglese. Gli spiego e mi chiede di quanta benzina avessi bisogno. “Mi bastano 10 litri!” Il signore mi manda a fare benzina e miracolosamente la pompa sputa questi 10 litri. Allorché rientro e voglio dargli almeno 20 euro, perché era ovvio che aveva pagato lui per me!  Niente da fare, mi augura buon viaggio, mi raccomanda di stare attento perché nel frattempo la pioggia è aumentata. Ringrazio e mi rendo conto che nonostante abbia tutto in tasca per pagare, il tutto non basta. Con questi pensieri in testa riprendo la strada e mi scappa da ridere a pensare alla gente che ho conosciuto che si sente dei piccoli padreterni.   Continuando a guidare verso Minsk, noto un paio di fari dietro di me: una vettura sta copiando la mia andatura. Accelero io e accelera lei, decelero io e decelera lei. La pioggia aumenta e anche correndo a 70 km/h faccio fatica a distinguere la striscia bianca della fine della carreggiata. Scorgo un’area di sosta, e mi faccio coraggio: mi fermo e voglio vedere se si ferma anche questa macchina. Come previsto, metto la freccia e mi segue; si ferma ad una decina di metri da me, penso al peggio. Poi vedo un uomo nel cono di luce dei suoi fari, mi si avvicina: riconosco il signore che mi ha pagato il carburante pochi chilometri fa. Mi cade una pietra dallo stomaco. Mi chiede se ho ancora molta strada da fare perché lui e sua moglie avevano deciso di seguirmi: una specie di scorta di sicurezza visto il maltempo. Gli mostro dal navigatore che mi mancano appena 17 km, mi chiede più volte se me la sento; gli dico di sì. Ringrazio e lo abbraccio. Penso sia la prima volta che ho abbracciato qualcuno di perfettamente sconosciuto, sentendo una fortissima empatia. Via, ognuno per la sua strada. Arrivo a Minsk, capitale della Bielorussia, che è sera tardi e piove ancora. Sembra quasi che la nuvoletta della pioggia stia viaggiando sopra la mia testa da un po’. Prendo in consegna la mia camera, che poi è un bungalow.

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UN MECCANICO (polacco) PROVVIDENZIALE – Katowice, 16 maggio

Sono appena arrivato finalmente all’hotel giusto di Katowice, sotto la pioggia! Il tempo di sistemarmi e mangiare un boccone, che già mi reclamano! Il manager dell’hotel e suo padre mi chiedono di andare con loro a vedere la loro collezione di MZ, acronimo di Motorradwerk Zschopau, motociclette risalenti ai tempi della DDR, la Germania dell’Est. Devo dire che i pezzi sono tutti molto belli e molto ben restaurati. Poi, presi dall’entusiasmo, mi accompagnano a vedere il loro allevamento di funghi, soprattutto Pleurotus, che da noi tra Veneto e Friuli prendono il nome di “sbrise”. E tra un fungo e l’altro mi raccontano tutta la loro vita! Praticamente il manager dell’hotel si è fatto da solo dopo la caduta dei vecchi blocchi ideologici in Europa. Lui era uno di quelli che si vedevano andare su e giù dall’Italia verso l’Est, a comprare catorci di auto e camioncini che poi portava in Polonia, sistemava e rimetteva in commercio. Quello è stato l’inizio della sua carriera professionale. Fuori piove ancora, anzi non ha proprio mai smesso. Ma mi sento bene, quasi in famiglia, a condividere il pasto.Il giorno dopo, al controllo giornaliero che faccio della moto, incasso un colpo molto forte: i copertoni da cross che mi sono portato di scorta per guidare nei terreni scoscesi sono tra loro fuori asse. Controllando bene la situazione, il paracolpi di destra si sta staccando dal telaio e se questo dovesse succedere in corsa sarebbe un bel problema.Urge un’officina!Intanto la pioggia continua. Tramite il padre dal manager dell’hotel a cui mi ero rivolto per avere un aiuto, si presenta un ragazzotto di circa quarant’anni col carrello traino montato sulla sua vecchia Volvo da mezzo milione di chilometri. E non scherzo: il contachilometri segna effettivamente mezzo milione di chilometri. Prende atto della situazione e mi dice che è tutto da rifare. Bene: sgancio le borse laterali, tolgo i bagagli e carichiamo la moto sul carrello.Dopo circa 10 km si arriva a casa sua: un capannoncino piccolo sul retro di una casa in fase di crollo, disabitata, ma pericolante. Facciamo spazio e portiamo dentro la mia moto. Quasi immediatamente si presenta anche il vicino di casa; prima le presentazioni e poi cominciamo a smontare la moto. Nel frattempo il vicino porta del caffè caldo, provvidenziale visto che continua a piovere e l’umidità entra proprio nelle ossa. Bevuto caffè, do una mano a coprire le moto in riparazione che il meccanico aveva messo fuori per far posto alla mia. Ma il vicino insiste perché vuole farmi vedere casa sua; così accetto e lo faccio contento. Quando ritorno all’officina vedo che nel frattempo è arrivato un amico del meccanico perché servivano dei pezzi di ricambio e questo era andato a acquistarli. Visto che la comunicazione è un po’ difficoltosa, mi limito fare il garzone: tengo i pezzi da montare, smeriglio, faccio un po’ quello che occorre. A mezzogiorno arriva una pizza formato famiglia per tutti e quattro: il meccanico, il vicino, l’amico e il sottoscritto. Voglio pagarla, ma niente da fare: me lo impediscono.A metà pomeriggio il lavoro è finito, carichiamo la moto su carrello e si rimette in funzione la vecchia Volvo. Mi riportano all’hotel e qui insisto per il pagamento. Insisto e insisto, ma niente: non vuole niente! Il giovane meccanico mi dice: “A cosa serve un’amicizia se non ci si può aiutare nel momento del bisogno?”Queste parole mi hanno colpito molto, specialmente in un mondo come il nostro dove si deve dare un prezzo a tutto, anche a un sorriso.Questo episodio ha cambiato qualcosa in me; decido come rivolgermi alle persone d’ora in avanti, come approcciarle, sia se ho bisogno di loro sia se loro hanno bisogno di me, ma anche semplicemente per salutarle: sorriderò.Sono solo, in nazioni dove non conosco la lingua, dove pochissime persone parlano l’inglese e praticamente nessuno parla il tedesco né l’italiano. Mi sono scelto io questa difficoltà per mettermi alla prova, per trovare quelle risposte che cerco. In fondo non so nemmeno io cosa sto cercando, ma sento una spinta dall’interno, qualcosa che viene dallo stomaco.La prima lezione che ho preso ha fatto proprio centro.Riparto il giorno dopo, sotto un cielo nuvoloso, alla volta del confine della Polonia con la Bielorussia: la dogana di Terespol mi aspetta tra circa cinquanta chilometri. https://youtu.be/BKtd7yizGaohttps://youtu.be/j6OmS7EYVBA

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BADEN E KATOWICE – 12 e 13 maggio

Il viaggio è cominciato! Sono partito dalla mia città, in provincia di Pordenone, e dopo più di 500 km arrivo a Baden beiWien, in Austria, una cittadina che dista una trentina di chilometri da Vienna e che è stata dichiaratanel 2021 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nelle Grandi Città Termali Europee. Il viaggio è tutto sommato regolare, anche se la posizione in sella alla moto per così tanto tempo haun po’ influito sulle braccia che sono arrivate un po’ doloranti! Per sgranchire le gambe e rilassarmi un po’ mi incammino per il “Wegerl in Helenental”, unapasseggiata romantica e poco impegnativa lungo il fiume Schwechat; è leggermente in salita, ma ilpaesaggio è molto bello e vario, dove si dice passeggiassero anche Schubert e Beethoven. Ne approfitto per far andare i pensieri, per lasciarli liberi di invadermi la mente. Già il nome delpercorso mi dà delle buone sensazioni visto che mia suocera, la madre di Esther, si chiamavaHelene. Riposo bene in un albergo di Baden e mi sveglio riposato e pronto a ripartire verso la Polonia. Ho preso questa abitudine: controllo la moto dopo aver fatto colazione, al mattino. E poi la carico. Se lo facessi alla sera, al mio arrivo, sarei troppo stanco per essere attento e lucido; quindi preferisco arrivare, parcheggiarla e riposarmi. I controlli li posticipo. Così parto, altri 500 km previsti, ma la tappa sembra apparentemente più agevole. Ancora in territorio austriaco la polizia mi ferma per un controllo di routine, ma quasi non mi domanda nulla né della moto né dei documenti: pare che il loro interesse maggiore sia proprio il mio viaggio! Secondo me sono motociclisti anche i poliziotti! Alla scoperta tra Austria e Cechia scopro poi che per le motociclette non è obbligatoria la Vignetta, che consente il transito sulle autostrade. Che bella sorpresa! Tra l’altro lì alla frontiera mi metto a chiacchierare con un autista di corriere, originario della Serbia, appassionato anche lui di moto. Mi racconta che quando va in ferie – non più di quindici giorni all’anno – cerca di approfittarne sempre per fare un viaggio in moto. Vive a Vienna e ammette purtroppo di non spostarsi molto da questa città. Attraversando la Cechia mi becco tanto di quel vento… Ondeggia la moto, ondeggiano le auto, e le mie braccia, già provate dal giorno precedente, implorano pietà! Mentre viaggio in autostrada mantengo una velocità pressoché costante di 100-120 km/orari. Non ho necessità di andare veloce perché il tempo è uno degli elementi fondamentali di questo mio viaggio. Ad un certo punto alla mia moto si affianca il muso di un’auto e per un po’ rimaniamo allineate; penso addirittura sia di nuovo la Polizia! Poi mi stanco e, incuriosito, decelero leggermente per vedere di chi si tratta. Al volante c’è un ragazzo che mi guarda e mi saluta mostrandomi il pollice in alto. Io ricambio! E lui torna a gesticolare e mima un abbraccio; io di nuovo rispondo con il pollice su. L’auto scorre via, mi supera, e sul lunotto posteriore vedo l’adesivo che indica una disabilità. Chissà chi era quel ragazzo? Uno che avrebbe voluto fare un viaggio come il mio, ma una disabilità glielo impedisce? Un uomo cui un incidente – magari in moto – ha impedito poi di salire di nuovo in sella? E così ho pensato che nel mio piccolo sto viaggiando anche per queste persone qui, per coloro chenon possono viaggiare, anche per un limite fisico. E così eccomi arrivato a Katowice, in Polonia. Cerco l’albergo che alcuni amici mirano gentilmenteprenotato e lo trovo completamente ricoperto di impalcature: è in ristrutturazione. Che strano… Miavvicino per cercare l’entrata, ma tutto è sbarrato e le uniche persone presenti sono muratori.Chiedo e mi viene confermato che il restauro durerà ancora un bel po’ di tempo!Insomma, mi metto in contatto con l’Italia e scopro che in città ci sono almeno quattro hotel chehanno un nome simile! Mi rimetto alla guida a cercare il mio e finalmente lo trovo. https://youtube.com/shorts/oMp39wYZSUw

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La mia casa per i prossimi mesi

Sono sempre stato appassionato di motociclette. La mia prima moto è stata una BMW R80, che usavo quando vivevo in Germania e che poi decisi di vendere. Poco prima che mio figlio diventasse maggiorenne, acquistai una Moto Guzzi NTX 750, usata, vecchia promessa fatta a Esther: “se avremo un figlio, aspetterò che abbia compiuto 18 anni per comprare una nuova moto!” Promessa non mantenuta! Riuscimmo a fare qualche viaggio a bordo di questa moto, ma finii per venderla come moto storica. Acquistai una BMW del 2007, anche questa usata. C’era il desiderio di fare un viaggio insieme, ma la malattia di Esther pose una sosta forzata ai viaggi e alla moto. È con questa moto che sto viaggiando verso l’Oriente, anche se è stato necessario sottoporla a una preparazione specifica per poter affrontare un viaggio così complesso. Fatti i dovuti – e abituali – controlli al motore e la manutenzione straordinaria, l’intervento maggiore si è concentrato sulle sospensioni e sul telaio. I miei meccanici di fiducia [link alla pagina dei ringraziamenti] hanno optato per rinforzare la moto in modo da renderla più resistente e adatta alle tipologie di terreno che incontrerò nel mio viaggio. Sulla moto sono montate un paio di gomme con profilo alto e ho con me anche un paio di gomme da cross al 50%, ideali per muoversi sulla sabbia o sulla strada battuta. Come si può vedere dalle foto, il mio mezzo è piuttosto ingombrante. Tra gli accessori porto con me un compressore, il kit antiforatura, l’olio motore di riserva e il sistema BDA attraverso il quale una centralina invia i dati della moto direttamente all’officina per controllare il mezzo e eventualmente intervenire… o far intervenire me! Ovviamente indosserò il casco integrale accessoriato con vivavoce, radio, microfono e navigatore. E un telefono satellitare. Invece il contatore Geiger mi servirà per individuare le aree esposte a radiazioni nucleari e evitare di sostare troppo nei paraggi. Non mancano il kit di primo soccorso, la farmacia di bordo con i farmaci usuali, il kit antimalaria, i cerottini per i punti, le bende e anche dei punti di sutura fai da te. Ho con me i fornelli a gas per cucinare e le scorte alimentari liofilizzate. Mi sono procurato un filtro svizzero che mi permette di depurare l’acqua non potabile per poterla bene in sicurezza. Con me poi ho integratori e sali minerali. Tutto questo mi tornerà utile non appena mi lascerò alle spalle il continente europeo. Per dormire, sono attrezzato con una tenda a tre posti, con un’amaca con copertura da appendere e con un telo che posso tirare dalla moto al suolo per poter dormire direttamente a terra. Per i prossimi mesi la mia moto sarà il mio mezzo di trasporto e la mia casa. Dovrà essere sicura, confortevole e affidabile. Il viaggio continua. Kit di “sopravvivenza” Kit di Pronto soccorso La farmacia Fornelli, pentole e posate Moto, la mia vista Moto, vista anteriore

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AVVISO

Ci scusiamo per il ritardo sugli aggiornamenti di viaggio, dovuti a causa di problemi tecnici e soprattutto ai blocchi alle applicazioni internet in Bielorussia e Russia.

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