Seconda tappa verso la Georgia, da Voronež a Volgograd (l’ex Stalingrado). Con deviazione su Luhansk.
La mattina si presenta bene: dopo colazione, via di gran volata. Ho previsto una deviazione, che mi aumenta i chilometri da percorrere, ma è una necessità mia, forse anche un pò al limite.
Mano a mano che proseguo, il paesaggio è tetro, cupo, sembra ci sia una cappa grigia, ma invisibile; questa atmosfera risveglia in me sensazioni vissute quando ero per motivi di lavoro nella vecchia DDR, appena fuori Berlino, in un comparto industriale dove almeno la ruggine sulle travi portanti dava un tocco di colore. Qui non c’è nemmeno la ruggine!
Gente anziana, con le schiene curve. Mi fermo per controllare il bagaglio e un paio di bambini si raccolgono intorno alla moto. Sorrido loro, nessuna reazione. I muscoli dei loro visi sembrano bloccati. Mentre risalgo in sella per ripartire mi balena per un attimo in testa che qui probabilmente la perestrojka non è arrivata, e i bambini nascono già vecchi.
Proseguo e arrivo al punto della deviazione. Mi fermo, un ulteriore controllo con cartina e compasso – il navigatore inizia già a fare scherzi – e imbocco la strada: so che per 70 chilometri posso andare tranquillo, poi devo alzare le orecchie.
Ecco infatti che compaiono dei mezzi militari, una bandiera russa. Mi fanno segno di fermarmi, cosa che prontamente faccio, e consegno i documenti; ma poi non ci capiamo: chiamano un superiore e che sia un superiore lo capisco dal fatto che assumono tutti una posizione servile. Parla bene l’inglese e mi chiede cosa ci faccio lì, se mi rendo conto che sono entrato in una zona occupata sotto la loro giurisdizione.
Naturalmente parla solo dopo avermi tolto le telecamere dalla moto. Io rimango vago, fingo di non capire, mi scuso, però un paio di domande le avrei, perché non credo a quello che sento in TV. Mi fa parlare e risponde alle mie domande, chiedendomi tassativamente di non rivelare né il posto né il fatto di averci parlato.
Ricevute indietro le mie telecamere, con le schede cancellate, mi rimetto sul mio percorso, soddisfatto per le risposte alle mie domande. Accelerando pensavo che non importa se queste risposte sono veritiere o meno; di fatto c’è che in fondo anche loro ne hanno le tasche piene di sparare alla propria gente.
Questo pensiero mi accompagna sino a Volgograd, la città che sino al 1961 si chiamava Stalingrado, famosa nella nostra storia della Seconda Guerra Mondiale.
Trovo alloggio e ristoro, sono esausto. Tante le emozioni e tanti i fatti di oggi da elaborare.