PASSAGGIO IN RUSSIA E UN INCONTRO MISTERIOSO – Mosca, 20 maggio

Parto per la frontiera russa, di buon mattino, sperando di trovare poco traffico. La frontiera si trova circa a 50 chilometri. Percorrendo la strada incrocio poche auto, ma una marea di camion.

Passo avanti per raggiungere la frontiera e nel giro di pochi minuti mi trovo già al controllo dei documenti.

Il passaporto è a posto, mi fanno le classiche domande sul motivo del mio viaggio, controllano le app del cellulare, copiano il codice imei del telefono che, anche se cambi la sim, permette di poterlo rintracciare.

L’Ufficiale è molto gentile e parla molto bene l’inglese. Facciamo anche quattro chiacchiere. Poi sorridendo e stringendoci la mano, ci lasciamo.

Passo la zona neutra, che fa da cuscinetto tra Bielorussia e Russia. E arrivo al container dedicato all’assicurazione. Sì, perché grazie alle sanzioni imposte contro la Russia, le assicurazioni hanno subito revocato le coperture, spesso senza ritornare nulla all’assicurato anche se hanno diminuito i servizi. Però, guarda caso, qualche assicurazione funziona lo stesso.

L’addetto svolge tutte le pratiche necessarie anche se impiega più tempo del previsto. Esco con la polizza in mano e trovo un capannello di poliziotti intorno alla moto.

Meno male sono solo curiosi… anche troppo! Mi fanno mille domande, ma fortunatamente nessuno parla inglese così me la cavo rispondendo solo a quelli con cui ci capivamo, anche con i gesti.

Salito sulla moto parto per gli ultimi chilometri prima di Mosca: sono ancora 500.

Lungo la strada tutto va bene, ogni tanto incontro qualche goccia di acqua qua e là ma soprattutto molta curiosità ai distributori di benzina: pare che le targhe italiane siano molto rare a queste latitudini.

Mi avvicino a Mosca all’orario previsto. Attraverso la Moskva, il fiume che divide Mosca in due parti: ormai sono in città, tra una postazione e l’altra di antimissili.

Io sono tranquillo, quando a un tratto il navigatore si mette a riposo: nessun segnale GPS appare sul display.

Subito mi fermo e ho una serie di pensieri turbolenti mi si addensano in mente; poi riprendo in mano il telefono e chiamo il mio amico di Mosca, Alexey (anche lui). Mi tranquillizza spiegandomi che è una cosa normale: lì il segnale GPS viene coperto per evitare che i missili in arrivo siano in grado di centrare gli obiettivi. Agghiacciante direi.

Mentre sono fermo che parlo al telefono, mi si avvicina una persona in divisa; mi parla, ma non capisco la sua lingua e allora gli passo il mio amico al telefono. I due parlano e quando hanno finito lui mi ripassa il cellulare e Alexey mi dice di seguire quell’uomo: mi porterà lui in dacia, dove abbiamo appuntamento.

L’uomo mi guida per 71 chilometri fino all’ultima strada per la dacia; imboccata quella, si ferma e mi spiega che, fatti altri 4 chilometri, avrei trovato la dacia di Alexey. Classica stretta di mano, abbraccio, poi le foto di rito, noi e la moto, cosa che a partire dai distributori russi, è diventato un must.

Mi lascia e proseguo da solo. Arrivo al posto, entro per la stradina e mi trovo quattro piccole vie con Dacie a destra e sinistra, ma ogni entrata è chiusa con il lucchetto. Vado su e giù un paio di volte per vedere se scorgo la moglie di Alexey, perché dovrebbe esserci lei a aspettarmi (Alexey è a Budapest). Niente. Torno su all’inizio della strada: dopo un viaggio di 500 chilometri, fatti tutti in un tiro, ho il diritto di riposarmi un po’. Prendo un pò d’aria, scarico la tensione con qualche esercizio imparato non ricordo dove né in quale occasione, ma utile ogni tanto. Alcune macchine mi passano piano accanto perchè la strada prosegue addentrandosi in un bosco.

Non ricordo se la terza o la quarta auto si ferma; chi è alla guida abbassa il finestrino mi sento apostrofare: “Lei è Italiano?”

Non faccio in tempo a rispondere che continua “Perché ho visto la targa…”

Sono sorpreso, ma non più di tanto. Mi sono accorta che è una donna; quando scende, le rivolgo complimenti sinceri per come parla l’italiano. Lei inizia a raccontarmi la sua storia: è nata e cresciuta in Italia, a Milano, la mamma è una ex insegnante di madrelingua russa, all’Università di Milano, il padre invece era toscano; l’anno scorso la madre è andata in pensione e sono rientrati in Russia, il padre è morto. Mentre mi racconta queste cose, tra l’altro anche molto personale, ha uno sguardo molto dolce, con qualcosa che non ho mai visto. Le chiedo se conosce la dacia del mio amico Alexey, visto che saranno una dozzina in tutto. Mi dice di no. Mi chiede invece se poteva permettersi di chiedere perché sono lì; le racconto quindi del viaggio e di mia moglie Esther. Parlando, provo una strana sensazione, un calore mi fa stare bene; lei con voce tranquilla aggiunge di un paio di cose sue e poi mi dice che la dacia di Alexey dovrebbe essere l’ultimo cancello a destra lungo la quarta traversa.

Prima di andare voglio sincerarmi di aver capito bene, e glielo richiedo.

Si scusa e ammette di non ricordarlo più.

Rimango basito. Mi spiega che era stata operata da un tumore al cervello in Italia e soffre di qualche vuoto di memoria. Mi dà l’impressione che ne voglia parlare, e così facciamo. Mi racconta che ha avuto anche una morte, momentanea. Le chiedo se ha visto un tunnel di luce bianca, mi dice di no; ha invece incontrato suo padre, al quale ha chiesto se fosse giunto anche per lei il momento della morte. Ma il padre l’ha tranquillizzata, se ne era andata e lei si era svegliata.

Sono rimasto stregato a ascoltarla, ma non per ciò che dice, ma per come lo racconta. La sua tranquillità è tale da far paura e indescrivibile la dolcezza che irradia.

Non sono un tipo romantico, ma questo incontro mi ha turbato.

Ci salutiamo, io proseguo la strada secondo le indicazioni ricevute, telefono e mi viene a aprirmi Lena, la moglie di Alexey.

Metto la moto in garage e vado su a mangiare un boccone; chiedo a Lena se conosce questa ragazza, dal nome Sofia. Non la conosce, e questo mi sorprese; chiede anche a una vicina e quella non conosce neppure la mamma, una professoressa di russo che ha insegnato per un lungo periodo a Milano.

Ritorniamo a Mosca in auto, ormai è sera.

La storia di Sofia non mi lascia in pace: chiedo aiuto a altre persone per capire chi sia e, nonostante tutto, questa coppia di madre e figlia sembra non essere conosciuta da nessuno. Per ora mi fermo qui con le mie elucubrazioni e porto con me quegli occhi che somigliavano molto a mia moglie.

Questo è un evento che rimette in gioco tante cose, mi aiuta a decidere se è il caso di sfidare la sorte oppure no. Ci penso stanotte, dicono che i confini tra questi due mondi siano molto sottili, ma noi con la nostra superbia non siamo in grado di percepirli. Chi è in cerca di qualcosa deve saper ascoltare e avere l’umiltà di accettare tutto quello che viene.

L’indomani visito Piazza Rossa con un altro mio conoscente russo. C’è il sole e pare che la pioggia mi abbia dimenticato.

AVVISO

Ci scusiamo per il ritardo sugli aggiornamenti di viaggio, dovuti a causa di problemi tecnici e soprattutto ai blocchi alle applicazioni internet in Bielorussia e Russia.

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